Pubblichiamo la traduzione dal francese dell’articolo del 27 settembre pubblicato sul sito Bastamag.net
«Volevano estradare Vincenzo subito, in silenzio. Abbiamo perturbato il loro calendario»
La giustizia francese sta attualmente indagando sul caso di Vincenzo Vecchi, arrestato in Bretagna dove si nascondeva dopo essere stato condannato in Italia a sedici anni di prigione per aver partecipato a delle manifestazioni. La libertà vigilata non è stata concessa. I suoi amici fanno ogni sforzo per impedire la sua estradizione.
Vincenzo Vecchi, arrestato lo scorso 8 agosto in Bretagna dalla brigata nazionale per la ricerca sui fuggitivi per essere estradato in Italia, rimane per il momento in prigione. La giustizia non ha accolto la sua richiesta di libertà vigilata. Vincenzo Vecchi, 46 anni, è stato condannato nel 2012 dalla giustizia italiana a sedici anni di carcere a seguito della sua partecipazione alla manifestazione anti-globalizzazione a Genova nel 2001 e una manifestazione antifascista a Milano nel 2006. Sedici anni di carcere, per accuse di saccheggio durante manifestazioni… Due mandati di arresto europei sono stati emessi dai tribunali italiani nel 2016 [1]. Tre anni dopo, la polizia francese lo arresta.
Lo stupore e la paura
Per il suo comitato di sostegno, che si è mobilitato da oltre un mese, il rifiuto della libertà condizionale è stato un duro colpo, che ha suscitato di nuovo lo stupore e la paura che ha colto i suoi sostenitori nel pieno dell’estate, quando hanno saputo dell’arresto di Vincenzo e del conseguente rischio di estradizione. «Pensavo di non vederlo mai più, ricorda Jean-Pierre. Mi sono sentito in lutto». «Siamo rimasti scioccati», aggiunge Gaëlle. La giovane donna ignora, come tutti nel paese di Rochefort-en-Terre nel Morbihan – dove Vincenzo vive da otto anni – che egli sia ricercato dalle autorità italiane.
Per gli abitanti di questo piccolo paesino di campagna, Vincenzo è diventato amico nel corso del tempo. Partecipa a un gruppo musicale, si occupa del bar associativo del luogo, dà volontariamente una mano a chi ne ha bisogno e inoltre è un ragazzo che sa fare mille mestieri, partecipando a numerosi cantieri sul posto. Adottato dalla gente del luogo, è diventato uno di loro.
«Rapidamente, abbiamo pensato che dovevamo tirare fuori il nostro amico da lì»
Rileggendo il messaggio che l’ha informata dell’arresto di Vincenzo, Mona è ancora molto commossa. «Ho pensato, è morto. Tra due giorni è in Italia.» «E poi, rapidamente, ci siamo resi conto che dovevamo salvare il nostro amico», dice Gaëlle. «Abbiamo deciso di rimboccarci le maniche, capire cosa stava succedendo, trovare una soluzione.» «Avevano previsto di estradarlo immediatamente, in silenzio. Ma siamo riusciti a perturbare il loro piano», aggiunge una amica.
«Siamo andati alla ricerca di un’avvocata», racconta Laurence. «È lei che ci ha raccontato di cosa è stato accusato il nostro amico e a quali pene è stato condannato. Ci è sembrato del tutto sproporzionato, ovviamente. Molti di noi sapevano che durante le proteste di Genova nel 2001, la repressione della polizia è stata terribile.» Mobilitati in primo luogo per difendere il loro amico, i membri del comitato di sostegno vogliono contestualizzare la storia di Vincenzo con i fatti dell’epoca.
Nel luglio 2001, decine di migliaia di manifestanti che hanno preso parte al contro-G8 sono stati intrappolati dalla polizia italiana. Centinaia di persone sono ferite, alcune sono arrestate e torturate. Il 23enne Carlo Giuliani viene ucciso. Nel 2015 la Corte europea dei diritti dell’uomo condanna l’Italia per non aver mai indagato, addirittura nemmeno identificato, gli autori di violenze della polizia contro attivisti anti-globalizzazione [2].
«In Italia, Genova è stato un vero trauma, afferma Jean-Baptiste. Un freddo invernale ha colpito il paese in quel momento.» «Quei giorni hanno lasciato un ricordo indelebile tra i manifestanti, aggiunge Mattia, un amico di Vincenzo che è venuto a incontrare il comitato francese [3]. La generazione dopo Genova non ha più fatto manifestazioni per dieci anni. Per paura.»
«Abbiamo mangiato poco e abbiamo dormito ancora meno, ma abbiamo imparato molto»
Meno di tre giorni dopo l’arresto di Vincenzo, il caffè associativo de la Pente, vicino al villaggio di Rochefort-en-Terre, diventa il quartier generale del comitato di sostegno. Circa sessanta persone si incontrano lì ogni giorno per varie settimane. «Qui, siamo abituati a fare le cose collettivamente, ogni giorno, descrive Gaëlle. Per anni abbiamo sperimentato soluzioni alternative nell’agricoltura, nell’artigianato, nell’abito sociale. Abbiamo avviato varie esperienze di cooperative, di associazioni collettive… Sappiamo come agire insieme. Ciò ovviamente ha facilitato la rapida istituzione del comitato.»
Condannato per «devastazione e saccheggio», Vincenzo rischia dodici anni di prigione per Genova, oltre a quattro anni in ragione di una manifestazione antifascista a Milano nel 2006. «Questo crimine di «devastazione e saccheggio» è stato introdotto nel codice penale dal potere fascista negli anni ’30» racconta Mattia. «Prevede pene detentive molto dure, tra i 6 e i 15 anni, ma non è mai stato utilizzato negli anni ’70 e ’80 anche se sono stati anni di intenso conflitto sociale in Italia. Fu solo nei primi anni 2000 che i magistrati decisero di usarlo per colpire più duramente le manifestazioni.»
Tra un incontro e l’altro viene organizzato il supporto. Un gruppo cerca di costituire un fondo documentario di libri, film, fumetti che raccontano cosa sia stata Genova. Un’altra commissione si occupa dei comunicati stampa. Un terzo si impegna ad analizzare la legge italiana e il mandato d’arresto europeo. «Non abbiamo mangiato molto e abbiamo dormito poco, ma abbiamo imparato molto e alla fine siamo stati abbastanza efficaci», si rallegra Jean-Baptiste.
Dal punto di vista legale, non tutto è deciso. Per i membri del comitato di supporto, il mandato d’arresto europeo si rivela fragile. E il 23 agosto, anche la giustizia francese ha espresso dubbi, chiedendo all’Italia un complemento d’inchiesta.
«La giustizia francese non può tornare sulla decisione presa dalla giustizia italiana, afferma l’avvocata Glon, uno dei difensori di Vincenzo Vecchi. Può tuttavia esigere risposte su vari punti: la procedura è stata correttamente notificata alla persona condannata? La sentenza imposta è equivalente a quella che sarebbe stata pronunciata per un reato equivalente? Le condizioni di detenzione sono conformi al diritto europeo?» La giustizia italiana ha tempo fino al 10 ottobre per fare arrivare queste informazioni alla giustizia francese, che dovrebbe poi prendere una decisione rapidamente.
«Nessun atto specifico o diretto è stato attribuito a lui. Nulla è stato filmato»
«Cosa può inviare di più la giustizia italiana?» Si chiede Jean-Baptiste. «Conosciamo abbastanza bene il dossier. Vincenzo è stato arrestato diversi mesi dopo le proteste a Genova, sulla base di una foto sui giornali. Lo vediamo bere una bibita all’uscita di un supermercato che era stato svuotato dai manifestanti. Non sta davvero saccheggiando nulla. Tutto si basa sull’accusa di “concorso morale”, in effetti. È accusato di essere stato presente.» Lo stesso scenario, secondo il comitato di supporto, per la manifestazione di Milano del 2006, che si opponeva a un raduno di neofascisti che era stato autorizzato dalle autorità.
«Vincenzo, così come le altre persone arrestate quel giorno, non è stato identificato per aver fatto qualcosa di speciale nella manifestazione antifascista nel corso della quale ci sono stati scontri con la polizia», dice Mattia. «Nessun atto specifico o diretto gli è stato attribuito. Non è stato filmato nulla.» Tutti questi elementi fanno sì che il comitato di supporto affermi che le sentenze contro Vincenzo sono «illegittime» e che fanno parte di «un movimento di criminalizzazione dei manifestanti» per cui Genova ha rappresentato un punto di svolta. L’avvocata di Vincenzo ha anche dimostrato che egli ha già scontato la condanna per la sua partecipazione alla manifestazione di Milano, afferma Laurence. «Ha scontato parte della pena preventivamente e l’altra agli arresti domiciliari. Il mandato d’arresto emesso per scontare questa pena è quindi nullo.»
«Se la storia di Vincenzo ci ha toccato qui, è perché molti di noi pensano che potrebbero essere stati nella stessa situazione, afferma Élise. Per esempio, a causa delle proteste sulla Zad di Notre-Dame-des-Landes». «Abbiamo anche in mente, ovviamente, i gilets jaunes che sono stati cosi duramente repressi», aggiunge Laurence.
«L’Italia è sempre stata un laboratorio politico in Europa», commenta Jean-Baptiste. Il delitto di «partecipazione collettiva per commettere degradazioni o violenze», ampiamente usato per condannare molti gilets jaunes (vedi il nostro dossier), sembra davvero copiato dal «concorso morale» della legge italiana [4]. Lo stesso capo di accusa ha anche permesso di condannare tre giovani tedeschi nell’ambito del dispositivo di sicurezza istituito durante il vertice del G7, svoltosi lo scorso agosto a Biarritz.
Nolwenn Weiler
Note
[1] Il mandato d’arresto europeo è entrato in vigore nel 2004 e aveva lo scopo, tra l’altro, di facilitare l’arresto di terroristi e/o altri responsabili di reti di prostituzione all’interno dell’area Schengen. Dalla sua entrata in vigore, il mandato d’arresto europeo ha riguardato casi come un attentatore che aveva messo una bomba a Londra il cui attacco è fallito e che è stato arrestato in Italia, un serial killer tedesco arrestato in Spagna, o una banda di ladri armati ricercati dall’Italia. Maggiori informazioni qui.
[2] Leggi questo articolo di Le Monde.
[3] Le citazioni di Mattia provengono da un programma radiofonico realizzato da membri del comitato di supporto.
[4] Questo reato è stato introdotto nel codice penale francese nel 2010 sotto la presidenza di Nicolas Sarkozy.
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